Homepage
Sede:
Via:
Telefono:
Partita Iva:
Mail:
  Siena ( CAP 53100 )
  Dario Neri , 53
  335 7859316
  01220190522
  info@pascaleditrice.it
Benvenuto     31 Mar 2023       registrati | Login


Categoria: Principale Libri Pascal Editrice Rivista - Il Chiasso Largo

Libri scelti da: | Titolo | Data | Classifica | Popolarità |

Libri ordinati per: Popolarità (dal minore al maggior successo




Scegli la pagina: 1 2   [ Prossima pagina >> ]
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 7   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : A proposito di Baricco Baricco non è mai stato tra i miei autori preferiti; gli riconosco indubbia capacità affabulatoria e padronanza del mezzo tecnico della scrittura, tuttavia i suoi romanzi mi paiono eccessivamente costruiti, calibrati, troppo tecnici, appunto. Pure la sua “sparata” contro i finanziamenti pubblici all’arte, in particolare al teatro, alla lirica, al cinema, pubblicata il 25 febbraio scorso da “La Repubblica”, mi è parsa un’intelligente provocazione capace di smuovere positivamente le acque morte del delicato e ambiguo rapporto tra pubblici poteri e cultura. Riducendo i concetti espressi dallo scrittore torinese all’osso, egli ha sostanzialmente detto: perché gli spettacoli teatrali, cinematografici devono essere sovvenzionati dallo Stato o dagli enti locali? Dovrebbe essere solo il consenso del pubblico, dunque il successo, a stabilire se un dramma o un film hanno diritto di esistere. Invece di dirottare milioni su spettacoli che nessuno va a vedere, impieghiamo quelle risorse per potenziare la scuola e per migliorare l’offerta culturale della televisione pubblica. Ovvero: invece di spendere soldi per sovvenzionare opere di valore ma troppo “difficili” per essere apprezzate dal grande pubblico, investiamo sull’istruzione in modo da poter avere, domani, un pubblico in grado di apprezzare le opere “difficili”. Come provocazione va bene; ma solo come tale. Perché se andiamo ad approfondire il problema, constatiamo subito che la situazione è assai meno semplice rispetto a come Baricco la pone. In pratica lui suggerisce che la vita o la non vita di un prodotto culturale sia affidata esclusivamente al mercato. E tutto andrebbe bene se in campo culturale, oggi, in Italia, esistesse un libero mercato; ma non è così. C’è chi, se produce un film o allestisce uno spettacolo teatrale, può permettersi di far circuitare i suoi registi, gli attori in una miriade di passerelle, trampolini, siparietti e tête à tête televisivi, pubblici, privati, internazionali, nazionali e locali. E chi no. Lo stesso dicasi per i libri che vengono pubblicati, i premi letterari che vengono organizzati, i dischi, i concerti. E non parlo certo di artisti o manifestazioni di chiara fama che è logico godano della visibilità che si sono conquistata nel tempo; ma ormai invasivamente anche artisti semisconosciuti o manifestazioni assolutamente marginali conquistano le prime, o seconde, serate e le prime, o terze, pagine grazie alla fitta rete di connessioni industrialpoliticfamiliarmunicipilasticclericolaicali che, a un certo momento, decidono che quel determinato film è un successo, che quell’attrice ha un talento straordinario, che quel tale scrittore è un maestro, che quel tal’altro premio letterario (del quale fino a un paio d’anni prima nessuno parlava) è la consacrazione del genio (tranne poi veder arrestato il suo presidente). E non ha alcun senso suggerire, come fa Baricco, che a sovvenzionare la cultura, in luogo dei pubblici poteri, siano i privati. Chi impedisce oggi ai privati di farlo? E come lo fanno? Naturalmente e legittimamente in una logica di profitto e dunque coniugandosi con il “mercato” sopra descritto. Ma come mai i giovani scrittori che escono dalla famosa scuola di scrittura “Holden”, diretta da Baricco stesso, trovano così facile accoglienza nella grande editoria, mentre i giovani che non possono permettersi le altrettanto famose rette di quella scuola restano ignorati? Non sarà forse perché quella scuola, grande produttrice di immagine ed eventi, è parte integrante del sullodato “mercato”? Ma andiamo… Il problema, se mai, è altro: quando lo Stato, o chi per lui, sovvenziona la cultura, quali criteri di valutazione e selezione adotta? Trasparenti, puramente meritocratici, squisitamente culturali? In questi casi il grande Totò avrebbe risposto: “Ma mi faccia il piacere…!” Diciamo le cose come stanno: i finanziamenti, le sovvenzioni, le sponsorizzazioni alla cultura, nel pubblico come nel privato, come in ogni altro settore si dibattono tra Manzoni e Cervantes: centinaia e centinaia di don Rodrigo e don Abbondio, senza che mai spunti un cardinal Federigo. Solo, ogni tanto, c’è un Don Chisciotte che se la prende coi mulini a vento.
Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1266
Rapporto su collegamenti a libri difettosi
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 8   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : Fenomenologia della morte di Mike Bongiorno Quando questo numero della nostra rivista andrà in distribuzione si sarà, da poco, spento l’eco della morte di Mike Bongiorno. Abbiamo deciso di scimmiottare il titolo del breve saggio, critico e dissacrante, che un altro Eco, Umberto, gli dedicò negli anni ‘60 (appunto “Fenomenologia di Mike Bongiorno”) per muovere qualche riflessione sul fenomeno di massa che è stato rappresentato dallo spontaneo “lutto nazionale” che ha accompagnato la morte di questo popolarissimo uomo di televisione. Se ne è parlato, quasi commossi, in ogni bar, ufficio o parrucchiere; ne erano pieni giornali, radio e tv; migliaia di persone si sono recate a rendere onore alla sua salma; decine di migliaia si sono recate ai funerali, di Stato, che gli sono stati celebrati. Anche chi non lo amava ha scoperto di non amarlo un po’ meno di quanto pensasse e, comunque, ci ha “pensato”. Mike è uscito per sempre dalle cronache, è entrato nella Storia; ma in realtà ne era già parte. Tutto questo a noi italiani, specie a quelli sulla cinquantina e oltre, può sembrare normale, perché eravamo assuefatti a convivere con questo nostro “domestico” mito; pare abbia suscitato qualche stupore all’estero, e la cosa si spiega: siamo abituati ad assistere a tali fenomeni di universale e partecipe cordoglio di fronte alla morte delle grandi rock star (vedi il caso recente di Michael Jakson), dei grandi attori, dei grandi campioni dello sport: in questo caso si trattava di un presentatore specializzato in telequiz, la cosa non ha precedenti. Un presentatore di telequiz non trascina, non infiamma, non scatena. Bongiorno meno che mai, sempre tranquillo, tendenzialmente imbranato, quasi sgrammaticato e gaffeur. Eppure… Nei giorni scorsi sono stati versati fiumi d’inchiostro sul ruolo “storico” di Mike. Qualcuno ha detto che egli avrebbe unificato l’Italia per mezzo della televisione. In parte è vero, ma non del tutto. Assolsero a tale ruolo più o non meno di lui altri benemeriti del tubo catodico: il maestro Manzi, Mario Riva, Niccolò Carosio… È stato scritto che egli abbia, di fatto, “inventato” la televisione italiana. Anche qui crediamo che il merito vada equamente distribuito tra più soggetti, non dimenticando, ad esempio, i grandi sceneggiati popolari degli anni ‘50 e ‘60 di Bolchi, Majano e altri ancora. Forse la specificità di Bongiorno risiede altrove: la sua lunghissima carriera, questa sì senza uguali, gli ha permesso di testimoniare e, in qualche modo, documentare e forse rappresentare cinquant’anni di storia della società italiana così come è possibile leggerla attraverso la televisione; punto di osservazione formidabile e, allo stesso tempo, motore non secondario delle trasformazioni che in quella società sono intervenute. Il passaggio dall’Italia agricola del dopo guerra a quella industriale del boom; l’Italia consumista degli anni sessanta che esauriva la spinta innovativa del dopoguerra ed entrava nella “cultura di massa”; poi l’affermazione della tv commerciale sul finire degli anni ‘70, preludio alla dittatura dell’auditel che ne ha svilito il livello culturale; fino alla tv globalizzata dei format che impera attualmente. Di tutti questi passaggi Bongiorno è stato il “decoder” vivente, traduttore, testimonial, divulgatore, sdoganatore, comunque simbolo. Lui era quello che c’era stato, c’era e ci sarebbe stato: sempre, qui il suo essenziale merito, con ottima professionalità e quella sobrietà oggi divenuta merce tanto rara. Per questo la sua assenza improvvisa - per quanto evento razionalmente contemplabile data la sua età - ci coglie impreparati, interdetti, apre obiettivamente un vuoto. Questo è preoccupante: in una società culturalmente evoluta quale dovrebbe essere la nostra, in un’industria televisiva ricca, anche se sempre meno pluralista com’è quella italiana, la scomparsa di un presentatore ottantacinquenne dovrebbe essere, al di là del fatto umano, un accadimento indolore. Non è così. L’offerta, culturale e non, è talmente mortificante che ci toccherà rimpiangere questo mite e onesto artigiano del video. Con buona pace del professor Eco, ben altre fenomenologie, grevi e sinistramente banali, imperano oggi. E c’è poco da stare in “allegria”. Ahi, ahi, ahi, siora…
Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1270
Rapporto su collegamenti a libri difettosi
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 12   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : L’ultimo poeta del nostro ‘900 In ottobre ci ha lasciato Andrea Zanzotto. Aveva novant’anni. Era dunque l’ultimo superstite di quella generazione di poeti e scrittori che, nei decenni precedenti e seguenti l’ultima guerra mondiale, rifondarono la letteratura italiana, la nostra cultura, la nostra dignità nazionale; creando un nuovo linguaggio e un’inedita sensibilità civile, portandoci finalmente lontano dalle fatue retoriche, pur sorrette da mirabolante maestria tecnica, della triade Carducci, Pascoli, D’Annunzio e dei loro terribili imitatori. Dire Zanzotto equivale a dire Montale, Quasimodo, Ungaretti, Luzi, ma anche Pratolini, Fenoglio, Bassani, Pavese, Pasolini; equivale a evocare quella stagione geniale e feconda delle nostre lettere che quelli della mia classe (1951) impararono a conoscere come contemporanea, che oggi invece sembra lontana non trenta o quarant’anni ma secoli. Versi scritti con inchiostro, non al pc. Che nessuno mai messaggiò col cellulare. Che difficilmente qualcuno ha mai allegato a una mail. Libri le cui pagine andavano separate col tagliacarte, che ignoravano il lusso di copertine rigide, tanto meno lucide. Quella letteratura fondò negli anni ’40 del Novecento la nostra democrazia e accompagnò il Paese nel progresso e nella modernità ai quali si aprì nei “meravigliosi” anni ’50. Quella poesia ci rese adulti: “M’illumino d’immenso”, “ … ed è subito sera”, “Spesso il male di vivere ho incontrato …”, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”; versi e bagliori che guidarono generazioni alla scoperta di una sensibilità moderna e dunque di se stesse. Zanzotto fu tra le ultime leve di quella stagione; ad essa è sopravvissuto, a lungo. La sua opera fondamentale è intitolata: “Il galateo in bosco”, vigorosa testimonianza della “preistoria” agricolo-botanica della poesia italiana (i “ligustri e acanti” montaliani). Dalla “beat generation” in poi la poesia si è fatta metropolitana. Non a caso i suoi ultimi anni di vita sono trascorsi in un silenzio ancor più ermetico di quello cui pure la sua natura schiva si era da sempre affidata. È come se la sua morte consenta la definitiva e onorata sepoltura di tutto un secolo letterario, il nostro Novecento, che nell’esile e stanca figura del grande poeta veneto continuava sommessamente a respirare. Zanzotto, figlio di un antifascista perseguitato dal regime; egli stesso partigiano nelle file di “Giustizia e Libertà”, fu testimonianza vivente di quella parte di italiani che durante la guerra tentarono di gettare le basi di un’Italia nuova e diversa, riscattata dal servilismo verso il potente, dall’opportunismo, dalla cura ossessiva per il proprio particolare intimamente connessa all’indifferenza verso il bene comune. Italiani che, specie guardando all’Italia di ora, sono stati traditi dalle generazioni successive e beffati dalla storia. Tuttavia, attraverso le loro opere – letterarie, artistiche o di pensiero –, quegli italiani hanno lasciato a noi, soprattutto a chi oggi è giovane, un patrimonio di idee e passioni che, se ben compreso e assimilato, costituisce un formidabile strumento per riflettere sul passato e trovare la forza per cambiare il presente.
Questo libro è stato aggiunto : Dic 28, 2011
Punti: 1289
Rapporto su collegamenti a libri difettosi
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 11   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : Il Nobel a Mario Vargas Llosa Quest’anno l’Accademia Reale svedese ha conferito il premio Nobel per la letteratura a Mario Vargas Llosa. Il premio Nobel, in tutte le sue declinazioni, è probabilmente una delle ultime cose serie che esistano al mondo. Il Nobel per la letteratura a volte viene conferito ad autori quasi sconosciuti al grande pubblico, ma sempre a giusta ragione: l’autore sconosciuto, grazie al premio, diviene famoso, troviamo i suoi testi in libreria e scopriamo quanto egli abbia meritato il riconoscimento; è il caso di Herta Müller, poetessa romena di lingua tedesca, che ottenne il Nobel l’anno scorso. Altre volte, il premio va ad un autore già consacrato, a buon diritto, dalla fama. È il caso di Vargas Llosa. L’Accademia ha legittimato la consolidata esperienza letteraria, umana e ideale di un grande maestro e chi già amava i suoi libri, assegnando a essi un posto speciale nella propria biblioteca, è come se fosse stato, un po’, premiato anche lui. Ora dovremmo parlare di Mario Vargas Llosa, inutile; preferiamo dare la parola a lui, riportando un brano del suo bellissimo saggio, “È pensabile il mondo moderno senza il romanzo?”, pubblicato in Italia da Einaudi nell’opera Il Romanzo - volume primo, La cultura del romanzo. “Noi lettori di Cervantes o di Shakespeare, di Dante o di Tolstoj, ci sentiamo membri della stessa specie perché, nelle opere che hanno creato, abbiamo imparato quello che condividiamo in quanto esseri umani, ciò che sussiste in tutti noi al di là dell’ampio ventaglio di differenze che ci separano. E nulla difende l’essere vivente contro la stupidità dei pregiudizi, del razzismo, della xenofobia, delle ottusità localistiche, del settarismo religioso o politico, o dei nazionalismi discriminatori, meglio dell’ininterrotta costante che appare sempre nella grande letteratura; l’uguaglianza essenziale di uomini e donne in tutte le latitudinie l’ingiustizia rappresentata dallo stabilire fra loro forme di discriminazione, dipendenza o sfruttamento. Niente, meglio dei buoni romanzi, insegna a vedere nelle differenze etniche e culturali la ricchezza del patrimonio umano e ad apprezzarle come una manifestazione della sua molteplice creatività. Leggere buona letteratura è divertirsi, certo; ma, anche, imparare, nel modo diretto e intenso che è quello dell’esperienza vissuta attraverso le opere di finzione, cosa e come siano, nella nostra interezza umana, con le nostre azioni, i nostri sogni e i nostri fantasmi, da soli e nell’intelaiatura delle relazioni che ci legano agli altri, nella nostra presenza pubblica e nel segreto della nostra coscienza, quella complessissima somma di verità contraddittorie – come le chiamava Isaiah Berlin – di cui è fatta la condizione umana". Grazie, Maestro, e congratulazioni.
Questo libro è stato aggiunto : Gen 11, 2011
Punti: 1351
Rapporto su collegamenti a libri difettosi
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 6   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : € 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : Zitti, zitti – forse un po’ troppo – siamo arrivati al numero sei, che poi sarebbe il sette se consideriamo quel numero zero pubblicato a febbraio 2006. Siamo stati impuntuali, lenti…, non siamo riusciti a rispettare la cadenza bimestrale che ci eravamo assegnati. Troppo intensa, considerando che abbiamo anche una casa editrice da mandare avanti, la quale – per fortuna – richiede sempre più tempo ed energie. Sicché abbiamo impiegato due anni per compiere il percorso che avremmo dovuto fare in uno. Pazienza. Specie se consideriamo la caducità tipica delle riviste letterarie, che spesso non vanno oltre i primi tre numeri. L’importante è prendere atto della realtà e adeguarsi: dal 2009 il “Chiasso” diventerà trimestrale, con l’impegno – lo prometto – di rispettare scrupolosamente questa più “comoda” scadenza di uscita. Dopo tale doverosa autocritica, permettetemi però di indugiare qualche attimo (non l’odioso, repellente attimino), sulle note liete. La famiglia Chiasso Largo cresce, si allarga la fascia dei nostri collaboratori e lettori, sia a Siena che nel resto d’Italia, dando via, via concretezza al programma col quale abbiamo cominciato questo percorso: creare un punto di incontro e di confronto tra esperienze creative diverse, senesi e non, emergenti e consolidate, italiane e straniere, poetiche, narrative e critiche, classiche e sperimentali, avendo come unico comune denominatore e discrimine la qualità. Dal numero zero a oggi sono stati 81 gli autori ai quali questa testata ha offerto voce e visibilità. Abbiamo pubblicato autori di Siena, Firenze, Roma, Lecce, Napoli, Bologna, Varese, Nocera Inferiore, Pordenone, Salerno, Pistoia, Modena, Genova, Novara, Sondrio, Cagliari, Linz (Austria), Vicenza, Palermo, Dortmund (Germania), Livorno, San Benedetto del Tronto, Voghera, Battipaglia, Ascoli Piceno, Locri, Taranto, Mantova, Asti, Lubiana (Slovenia), Cecina, Tivoli, San Paolo del Brasile, Milano; adempiendo alla missione che ci eravamo proposti: aprire un ideale canale di collegamento tra la creatività letteraria di Siena e quella che dal resto del mondo guarda a questa città. A tutti questi collaboratori va il nostro affettuoso ringraziamento e un mezzo impegno – mezzo, perché tra il dire e il fare… - è nostra intenzione/desiderio organizzare nel prossimo inverno un’occasione di incontro per tutti loro, come per i lettori; una specie di festa di “Il Chiasso Largo”, che possa anche essere un momento di riflessione comune e di progetto per i destini futuri della rivista. Speriamo di riuscire ad avere tempi, spazi e mezzi per concretizzare questo proposito. A dire il vero questo dipende anche un po’ da voi che ci leggete. Consentitemi un’annotazioncella di ordine pratico, è la prima volta che lo faccio. Riceviamo tanti testi, tanti complimenti, attestati di stima, ammirazione; l’unica cosa che scarseggia sono gli abbonamenti. . . A questo proposito mi limito a trascrivere ciò che lo scorso maggio mi ha scritto una poetessa che torno a ringraziare: “…Voglio abbonarmi al Chiasso perché credo sia anche mio interesse permettere la sopravvivenza di una rivista che mi offre la possibilità di esprimermi, di pubblicare, di avere voce. So che pubblicare una rivista è costoso: chi è “aiutato” dal “Chiasso” secondo me ha il dovere di sostenerlo. Poi per 25 euro l’anno…quanti ne spendiamo in telefonini o gratta e vinci? E se il “Chiasso” un giorno dovesse tacere? Mi sentirei davvero molto sola…”. Ecco, quest’amica ha capito tutto… altri non capiscono, o fanno finta… Comunque il nostro IBAN POSTALE è: IT76Q0760114200000091323451. E speriamo. Intanto, visto che questo numero esce – o dovrebbe uscire – a cavallo delle prossime feste, un affettuoso augurio di Buon Natale e felice anno nuovo da me personalmente e da tutta la redazione.
Questo libro è stato aggiunto : Feb 25, 2009
Punti: 1407
Rapporto su collegamenti a libri difettosi
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 10   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : La libertà e i suoi fantasmi Tra potere e libertà d’espressione una lotta che non avrà mai fine, né confini. C’è una piccola storia tedesca che pochi conoscono, che nessuno ha mai raccontato. Una ignobile, orrenda storia, accaduta nel 1943, periodo nel quale anche la Storia, dell’Europa e del Mondo, era ignobile e orrenda. Ma questa piccola storia voglio raccontarla adesso per la violenta forza simbolica che esprime, per il valore di paradigma del rapporto tra libertà del pensiero e potere oppressivo che è in grado di rappresentare. Nel 1943 viveva e lavorava in Germania, a Berlino, Karlrobert Kreiten, pianista ventisettenne. Per unanime riconoscimento della critica, dei maestri e dei colleghi era uno dei più dotati talenti musicali allora esistenti. Nel 1933, a soli diciassette anni, Kreiten si era aggiudicato il prestigioso premio “Felix Mendels- sohn”; aveva poi avuto come maestro, a Vienna, Claudio Arrau; aveva suonato con Wilhelm Furtwangler; da anni teneva concerti di grande successo in Germania e in tutta Europa. Tuttavia il giovane Kreiten aveva un vizio, quello di pensare, con la propria testa. Un vizio pericolosissimo per un suddito del Reich. Così nel marzo 1943 commise un’imprudenza. Un pomeriggio in casa di sua madre, a Berlino, si trovò a chiacchierare con un’amica di lei, la signora Ellen Ott-Monecke. Si sentiva tranquillo Karlrobert quel pomeriggio, rilassato, e si lasciò andare a qualche commento sulla guerra in corso. Era appena terminata la battaglia di Stalingrado e il giovane pianista espresse l’opinione che la guerra fosse ormai perduta e che Hitler fosse uno scellerato. Non sappiamo quanto Ellen Ott-Monecke fosse realmente amica della signora Kreiten. Sappiamo per certo che era un’informatrice della Gestapo. Due mesi dopo, nella città di Heidelberg, al termine di un concerto, il pianista venne arrestato. Fu processato e condannato per tradimento e disfattismo. Lo impiccarono l’8 settembre di quello stesso anno. La storia è agghiacciante sotto diversi aspetti. Un potere tiran- nico assassina un oppositore. Basterebbe. Ma non basta: l’op- positore è giovane; è un grande artista, un uomo che ha tanta bellezza e armonia da regalare all’umanità. Infine, l’oppositore non è tale, in realtà. Kreiten non complottava, non ciclostilava in segreto volantini sovversivi, non agiva in alcun modo contro il governo. Viveva solo per la musica, non si occupava d’altro. Fu ucciso solo perché, un maledetto pomeriggio, sentendosi sicu- ro, nel salotto di sua madre, aveva lasciato cadere qualche con- siderazione critica sulla guerra. Sarebbe bastato che qualcuno, in quel momento, l’avesse chiamato al telefono o che lui si fosse ricordato di un vecchio impegno… sarebbe sopravvissuto. Ma il potere dei tiranni è fatto così: è costruito sulla paura. Paura che il popolo ha del tiranno; ma soprattutto la paura che il tiranno ha del popolo. La consapevolezza della propria illegittimità, dunque della propria debolezza morale, lo porta a diffidare ad ogni stormir di fronda, a puntare la pistola contro ogni fremito di intelligenza, di propensione all’analisi, perché ovunque c’è intelligenza, lì c’è capacità critica e dunque la tirannide è minacciata. Il gerarca nazista Von Student diceva: «Ogni volta che sento pronunziare la parola cultura, mi viene da portare la mano alla pistola». Più chiaro di così. Sarebbe bello poter dire: …d’accordo, ma questa è roba di settanta anni fa. Oggi i valori della democrazia imperano nel mondo. No, non nel mondo. Non in Iran, dove gli oppositori del regime teocratico vengono arrestati e assassinati; in prima fila gli intellettuali, come il regista Jafari Panhai, gente colpevole di pensare. Non in Cina, dove puoi essere fucilato anche solo per aver navigato in internet. Non in Birmania, Nigeria, Zimbabwe, Sudan, Cuba, in gran parte delle repubbliche ex sovietiche rette da avidi despoti post-comunisti… Ma allora sarebbe bello poter dire: d’accordo, lì sono al potere delle dittature, ma in tanta parte del mondo, e specie in occidente, abbiamo delle democrazie parlamentari. Non sempre, non ovunque. La Russia è un paese organizzato secondo una costituzione democratica. Pure, Anna Politowskaja è stata assassinata, al pari di altri giornalisti, politici, imprenditori critici verso il governo. In realtà, da quelle parti, la gente non si sente molto tranquilla a dire quel che pensa, se quel che pensa è molto diverso dai messaggi che emana il potere politico, amplificati da un sistema di media quasi totalmente conformato alla linea governativa. Discorso analogo si può fare per la Bielorussia; in una certa misura anche per l’Ucraina. Come abbiamo già detto, nelle altre repubbliche ex URSS la situazione è anche peggiore. Qui allora bisogna aprire un discorso particolare, da fare con grande attenzione, perché si può rischiare di essere fraintesi. Appare chiaro che la democrazia non è e non potrà mai essere un discorso di forma. Che la mia libertà, i miei diritti siano ampiamente garantiti sulla carta mi interessa poco, quando poi, nei fatti, il loro esercizio mi viene impedito con la forza, dove per forza dobbiamo intendere molte cose. Forza non sono solo il manganello o le manette: forza è anche la semplice minaccia della forza stessa come di altri danni o pregiudizi, sul lavoro, nelle proprie legittime aspirazioni di successo, nel proprio patrimonio, nella propria onorabilità. Ci sono governi pseudo-democratici che possiamo tranquillamente definire criminali, dove l’oppositore che utilizza la libertà che le leggi gli garantiscono viene ammazzato; spacciando l’uccisione per un caso di criminalità comune o roba del genere. Ci sono governi pseudo-democratici che non possiamo definire criminali, perché nessun oppositore viene assassinato, né arrestato, né esiliato, che tuttavia impongono al paese che ha la sventura di essere sotto il loro controllo un affievolimento dell’effettivo godimento dei diritti, una loro progressiva limitazione. Paesi nei quali il potere cerca quotidianamente di delegittimare il ruolo di ogni organismo di controllo, di denigrare e calunniare chiunque gli si opponga; paesi dove il potere utilizza la propria immanenza sui mezzi di informazione per snaturare la democrazia e asservirla ai propri fini, per censurare ed eliminare giornalisti e trasmissioni sgradite; paesi dove il potere sfrutta l’investitura popolare pur ricevuta in virtù delle regole concordate, per stravolgere quelle regole stesse e garantirsi la perpetuazione del mandato ad onta di esse. A questo punto sarebbe bello poter dire: sì, certi governi nazionali, magari soprattutto un certo governo nazionale, il nostro, si comportano in questa maniera, ma le forze che lo contrastano… No, non sempre e non ovunque. Esistono realtà locali nelle quali governa chi a livello nazionale è all’opposizione, e dove pure, a volte, si ripropongono le stesse, tristi logiche che sopra abbiamo delineato: disprezzo per le regole, abuso delle pubbliche risorse, informazione economicamente condizionata, intolleranza verso chi pretende di operare e parlare non in costante ossequio al potere, ostacoli sul cammino anche professionale di chi, esercitando il culto del “bene comune”, risulta eretico rispetto a quel compiaciuto esercizio del bene privato che è ormai divenuto la religione del nostro tempo. Non è necessario che il dissenso venga punito con la morte o la galera, perché si possa parlare di tirannide. Esistono vari gradi e intensità ai quali il vulnus alla libertà può essere portato; quelli più bassi e deboli non vanno trascurati, perché la storia ha insegnato che, purtroppo, è da questi che inizia la funesta discesa verso l’abisso. Sappiamo bene tutti, o dovremmo saperlo, che la libertà, la democrazia non sono conquiste irreversibili. In ogni società esisteranno sempre poteri, nazionali o locali, pubblici o privati, a volte tra loro connessi, che troveranno sgradevoli la critica, il dissenso, la verità. Contro tali poteri queste conquiste vanno quotidianamente difese. Per difendere la libertà esiste un solo strumento, il suo esercizio assoluto e costante. Per questo, quando più vediamo minacciati i nostri spazi di libertà, autonomia, indipendenza di giudizio, possibilità di espressione, tanto più è nostro dovere rafforzare il nostro impe- gno per praticarli, alzando la voce se occorre, correndo rischi, se è il caso; rifiutando le intimidazioni, le tentazioni del quieto vivere. L’arroganza del potere ha infatti questa truce caratteristica, più ti rassegni a sopportarla, a industriarti di conviverci, più essa diviene esigente e invasiva. Allora è indispensabile resistere. E contrattaccare.

Nota editoriale : Il Nobel a Mario Vargas Llosa
Quest’anno l’Accademia Reale svedese ha conferito il premio Nobel per la letteratura a Mario Vargas Llosa. Il premio Nobel, in tutte le sue declinazioni, è probabilmente una delle ultime cose serie che esistano al mondo. Il Nobel per la letteratura a volte viene conferito ad autori quasi sconosciuti al grande pubblico, ma sempre a giusta ragione: l’autore sconosciuto, grazie al premio, diviene famoso, troviamo i suoi testi in libreria e scopriamo quanto egli abbia meritato il riconoscimento; è il caso di Herta Müller, poetessa romena di lingua tedesca, che ottenne il Nobel l’anno scorso. Altre volte, il premio va ad un autore già consacrato, a buon diritto, dalla fama. È il caso di Vargas Llosa. L’Accademia ha legittimato la consolidata esperienza letteraria, umana e ideale di un grande maestro e chi già amava i suoi libri, assegnando a essi un posto speciale nella propria biblioteca, è come se fosse stato, un po’, premiato anche lui. Ora dovremmo parlare di Mario Vargas Llosa, inutile; preferiamo dare la parola a lui, riportando un brano del suo bellissimo saggio, “È pensabile il mondo moderno senza il romanzo?”, pubblicato in Italia da Einaudi nell’opera Il Romanzo - volume primo, La cultura del romanzo. “Noi lettori di Cervantes o di Shakespeare, di Dante o di Tolstoj, ci sentiamo membri della stessa specie perché, nelle opere che hanno creato, abbiamo imparato quello che condividiamo in quanto esseri umani, ciò che sussiste in tutti noi al di là dell’ampio ventaglio di differenze che ci separano. E nulla difende l’essere vivente contro la stupidità dei pregiudizi, del razzismo, della xenofobia, delle ottusità localistiche, del settarismo religioso o politico, o dei nazionalismi discriminatori, meglio dell’ininterrotta costante che appare sempre nella grande letteratura; l’uguaglianza essenziale di uomini e donne in tutte le latitudinie l’ingiustizia rappresentata dallo stabilire fra loro forme di discriminazione, dipendenza o sfruttamento. Niente, meglio dei buoni romanzi, insegna a vedere nelle differenze etniche e culturali la ricchezza del patrimonio umano e ad apprezzarle come una manifestazione della sua molteplice creatività. Leggere buona letteratura è divertirsi, certo; ma, anche, imparare, nel modo diretto e intenso che è quello dell’esperienza vissuta attraverso le opere di finzione, cosa e come siano, nella nostra interezza umana, con le nostre azioni, i nostri sogni e i nostri fantasmi, da soli e nell’intelaiatura delle relazioni che ci legano agli altri, nella nostra presenza pubblica e nel segreto della nostra coscienza, quella complessissima somma di verità contraddittorie – come le chiamava Isaiah Berlin – di cui è fatta la condizione umana.” Grazie, Maestro, e congratulazioni.
[Nota editoriale aggiunta: Gen 11, 2011 da Admin]

Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1425
Rapporto su collegamenti a libri difettosi
book cover
Il Chiasso Largo - Numero 5   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : € 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : In questo numero:

L’amico che insegnava la memoria

Lo scorso 21 marzo, quasi all’improvviso, ci ha lasciato Aurelio Ciacci. Amico discreto, ma assiduo e prezioso della nostra casa editrice, di questa rivista. Qui non vogliamo parlare del valoroso partigiano, dirigente di partito, parlamentare. Lo fece benissimo da sé nel suo libro, “Viale Curtatone”, che un po’ estorcemmo alla sua ritrosia, alla sua sobrietà: “Non mi va di scrivere delle memorie. C’è sempre grande ipocrisia nei libri autobiografici”, diceva. Così ci mettemmo d’accordo per un libro intervista, una sorta di dialogo su cinquant’anni di vita politica; al termine del quale, comunque, volle precisare: “Tutto quello che ho detto è vero, ma non tutto il vero ho potuto dire”. Non era mai accomodante. Aveva il vizio della verità, e della memoria. E, giunto ormai in vista degli ottanta anni, - al tempo in cui scrivevamo - non era disposto a separare le due cose. Non era un uomo semplice, Aurelio. I suoi ultimi anni sono stati sereni, ma dominati da una riflessione costante e indagatrice sul senso delle esperienze accumulate. Apparteneva a quella generazione di comunisti che della fede politica avevano fatto una religione; per i quali non era mai esistita distinzione tra vita privata e impegno politico; serenamente convinti del ruolo benefico esercitato dal Pci nella società italiana. Comunisti militanti che, pure, dovettero assistere al crollo prima del mito e poi della stessa entità dell'URSS; alla trasformazione del proprio partito-casa; alle sue divisioni. Ma a differenza di tanti altri militanti - anche molto più giovani - Aurelio non visse passivamente i cambiamenti: non fu mai uno di quelli che “si adeguano”. Ciacci il cambiamento lo visse innanzitutto dentro di sé, con buon anticipo sui tempi storici, e nel partito ne fu interprete e ispiratore. Della sua lezione politica ci resta il gusto per il confronto, la curiosità di indagare, capire l’altro. Un istinto innato per l’analisi, la caparbietà con la quale costantemente tendeva alla sintesi unitaria, anche dopo aver colpito l’interlocutore con le pungenti frecce dell’ironia; o mentre subiva a sua volta l’ironia dell’avversario. L’ironia era la sua arma preferita, amava usarla ed era sempre prontissimo ad accettarla; e questo è parte della lezione umana che ci ha lasciato. Insieme all’uso della modestia, l’esercizio della ragione, l’orgoglio della memoria. Oggi viviamo giorni difficili e confusi, in cui qualcuno vorrebbe riscrivere i libri di storia, altri dedicare vie a chi fiancheggiò l’Olocausto. Il tutto sull’altare di un’ambigua pulsione pacificatoria. E allora tornano alla mente parole semplici e chiare, come quelle scritte da Aurelio, tre anni fa: “Io credo nella necessità di una pacificazione… Ma pacificare non vuol dire dimenticare che, in quella guerra, ci furono aggressori e aggrediti, persecutori e perseguitati, sterminatori e sterminati. Ci può essere pacificazione, ma senza dimenticare che ci furono ragioni e torti”. Ancora grazie, Aurelio.
Questo libro è stato aggiunto : Ago 06, 2008
Punti: 1537
Rapporto su collegamenti a libri difettosi


Scegli la pagina: 1 2   [ Prossima pagina >> ]

Designed By Holy

Un altro progetto MAX s.o.s.