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Categoria: Libri Pascal Editrice

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A casa di Emily (3)     La sapienza delle cose (3)     L'anima diffusa (20)     Le notti (16)    
Giorni /persone e storie (19)     Rivista - Il Chiasso Largo (13)     Celeste e rosa (3)     Popoli, chiese e castelli (4)    
Nova Humanitas (1)     Intermezzi (2)     I Colonnini (1)     La voce narrante (3)    
Banda Larga (3)     Gli Stivali del Gatto (1)    

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Passeggiate nel tempo (tra ceroni e microfoni). Autobiografia di un attore senese   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Giorni /persone e storie


Autore : Valentino Bruchi

Prezzo : 15,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : Valentino Bruchi, attore e regista nato a Siena nel 1912, è stato un protagonista della scena teatrale e cinematografica italiana dagli anni trenta a quelli cinquanta dello scorso secolo. Ha recitato in teatro con Ermete Zacconi, Ruggero Ruggeri, Emma e Irma Gramatica, Memo Benassi, Vittorio De Sica, Paolo Stoppa… Nel cinema è stato aiuto regista e coregista con Mervin Le Roy, Orson Welles, Ladislao Vayda… solo per citare alcune tappe di una formidabile carriera, ricca di molteplici esperienze. Questa sua autobiografia, grazie a una prosa viva e brillante, ci guida alla scoperta di un mondo magico e perduto, il teatro italiano e il cinema di quei tempi che viveva i primi timidi passi verso il suo destino di intrattenimento di massa. Scorre così davanti ai nostri occhi una galleria di personaggi ormai entrati nella mitologia dello spettacolo, della letteratura, dell’arte. Oltre ai nomi già ricordati ci imbattiamo in Antonio Gandusio, Gino Cervi, Orio Vergani, Trilussa, Sem Benelli, Giovacchino Forzano, Annibale Ninchi, Achille Campanile, Alessandro Blasetti e tanti altri; una galleria costellata da aneddoti, citazioni e riflessioni argute che ci restituiscono, dal vivo e in presa diretta, un’epoca ricca di fermenti culturali che da “ricordo” si è già trasformata in “storia”. Ma queste pagine, soprattutto nella parte iniziale del libro, ci parlano anche di Siena. Una Siena lontana e ormai dimenticata, nella quale a sera ci si addormentava ascoltando il lento cigolio di una carrozza, che giungeva attutito attraverso i vetri, dalla via sottostante… Pagine dalle quali traspare il grande amore che Valentino Bruchi nutrì per la sua città, con la quale mantenne sempre i contatti, anche quando la sua professione di attore lo costrinse a girare l’Italia, e alla quale volle tornare per trascorrere i suoi ultimi anni.

ISBN:978-88-7626-063-3

Pagine 160

Dimensioni:14,5x21


Questo libro è stato aggiunto : Set 10, 2010
Punti: 1492
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Lasciateci vivere la nostra primavera - E altre favole teatrali   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice


Autore : Maria De Masi

Prezzo : 10,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : In “Lasciateci vivere la nostra primavera” e nelle altre favole teatrali raccolte in questo volume, Maria De Masi, pur guardando il mondo con gli occhi incantati del “fanciullino” di pascoliana memoria, svolge la sua funzione educativa svelando, con l’arma della presa in giro e dell’arguzia, presunzioni, ipocrisie, egoismi, miopie delle quali troppo spesso è intessuta la società degli adulti. Quella della nostra autrice è una satira benevola, intendiamoci, ma non per questo meno efficace e costruttiva, anzi è proprio la soavità con la quale lei ce la porge a renderla più penetrante. Questo di Maria De Masi è un “mondo salvato dai bambini”, cioè un mondo che ha bisogno di innocenza, bontà, sincerità, ed è la forza e la dolcezza di questi valori a riempire di poesia le sue fiabe edificanti.

ISBN:978-88-7626-092-7

Pagine 103

Dimensioni:14,5x21


Questo libro è stato aggiunto : Ago 17, 2010
Punti: 1523
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Il Chiasso Largo - Numero 10   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
Ordina ora prosso 365 Bookmark.it
Descrizione : La libertà e i suoi fantasmi Tra potere e libertà d’espressione una lotta che non avrà mai fine, né confini. C’è una piccola storia tedesca che pochi conoscono, che nessuno ha mai raccontato. Una ignobile, orrenda storia, accaduta nel 1943, periodo nel quale anche la Storia, dell’Europa e del Mondo, era ignobile e orrenda. Ma questa piccola storia voglio raccontarla adesso per la violenta forza simbolica che esprime, per il valore di paradigma del rapporto tra libertà del pensiero e potere oppressivo che è in grado di rappresentare. Nel 1943 viveva e lavorava in Germania, a Berlino, Karlrobert Kreiten, pianista ventisettenne. Per unanime riconoscimento della critica, dei maestri e dei colleghi era uno dei più dotati talenti musicali allora esistenti. Nel 1933, a soli diciassette anni, Kreiten si era aggiudicato il prestigioso premio “Felix Mendels- sohn”; aveva poi avuto come maestro, a Vienna, Claudio Arrau; aveva suonato con Wilhelm Furtwangler; da anni teneva concerti di grande successo in Germania e in tutta Europa. Tuttavia il giovane Kreiten aveva un vizio, quello di pensare, con la propria testa. Un vizio pericolosissimo per un suddito del Reich. Così nel marzo 1943 commise un’imprudenza. Un pomeriggio in casa di sua madre, a Berlino, si trovò a chiacchierare con un’amica di lei, la signora Ellen Ott-Monecke. Si sentiva tranquillo Karlrobert quel pomeriggio, rilassato, e si lasciò andare a qualche commento sulla guerra in corso. Era appena terminata la battaglia di Stalingrado e il giovane pianista espresse l’opinione che la guerra fosse ormai perduta e che Hitler fosse uno scellerato. Non sappiamo quanto Ellen Ott-Monecke fosse realmente amica della signora Kreiten. Sappiamo per certo che era un’informatrice della Gestapo. Due mesi dopo, nella città di Heidelberg, al termine di un concerto, il pianista venne arrestato. Fu processato e condannato per tradimento e disfattismo. Lo impiccarono l’8 settembre di quello stesso anno. La storia è agghiacciante sotto diversi aspetti. Un potere tiran- nico assassina un oppositore. Basterebbe. Ma non basta: l’op- positore è giovane; è un grande artista, un uomo che ha tanta bellezza e armonia da regalare all’umanità. Infine, l’oppositore non è tale, in realtà. Kreiten non complottava, non ciclostilava in segreto volantini sovversivi, non agiva in alcun modo contro il governo. Viveva solo per la musica, non si occupava d’altro. Fu ucciso solo perché, un maledetto pomeriggio, sentendosi sicu- ro, nel salotto di sua madre, aveva lasciato cadere qualche con- siderazione critica sulla guerra. Sarebbe bastato che qualcuno, in quel momento, l’avesse chiamato al telefono o che lui si fosse ricordato di un vecchio impegno… sarebbe sopravvissuto. Ma il potere dei tiranni è fatto così: è costruito sulla paura. Paura che il popolo ha del tiranno; ma soprattutto la paura che il tiranno ha del popolo. La consapevolezza della propria illegittimità, dunque della propria debolezza morale, lo porta a diffidare ad ogni stormir di fronda, a puntare la pistola contro ogni fremito di intelligenza, di propensione all’analisi, perché ovunque c’è intelligenza, lì c’è capacità critica e dunque la tirannide è minacciata. Il gerarca nazista Von Student diceva: «Ogni volta che sento pronunziare la parola cultura, mi viene da portare la mano alla pistola». Più chiaro di così. Sarebbe bello poter dire: …d’accordo, ma questa è roba di settanta anni fa. Oggi i valori della democrazia imperano nel mondo. No, non nel mondo. Non in Iran, dove gli oppositori del regime teocratico vengono arrestati e assassinati; in prima fila gli intellettuali, come il regista Jafari Panhai, gente colpevole di pensare. Non in Cina, dove puoi essere fucilato anche solo per aver navigato in internet. Non in Birmania, Nigeria, Zimbabwe, Sudan, Cuba, in gran parte delle repubbliche ex sovietiche rette da avidi despoti post-comunisti… Ma allora sarebbe bello poter dire: d’accordo, lì sono al potere delle dittature, ma in tanta parte del mondo, e specie in occidente, abbiamo delle democrazie parlamentari. Non sempre, non ovunque. La Russia è un paese organizzato secondo una costituzione democratica. Pure, Anna Politowskaja è stata assassinata, al pari di altri giornalisti, politici, imprenditori critici verso il governo. In realtà, da quelle parti, la gente non si sente molto tranquilla a dire quel che pensa, se quel che pensa è molto diverso dai messaggi che emana il potere politico, amplificati da un sistema di media quasi totalmente conformato alla linea governativa. Discorso analogo si può fare per la Bielorussia; in una certa misura anche per l’Ucraina. Come abbiamo già detto, nelle altre repubbliche ex URSS la situazione è anche peggiore. Qui allora bisogna aprire un discorso particolare, da fare con grande attenzione, perché si può rischiare di essere fraintesi. Appare chiaro che la democrazia non è e non potrà mai essere un discorso di forma. Che la mia libertà, i miei diritti siano ampiamente garantiti sulla carta mi interessa poco, quando poi, nei fatti, il loro esercizio mi viene impedito con la forza, dove per forza dobbiamo intendere molte cose. Forza non sono solo il manganello o le manette: forza è anche la semplice minaccia della forza stessa come di altri danni o pregiudizi, sul lavoro, nelle proprie legittime aspirazioni di successo, nel proprio patrimonio, nella propria onorabilità. Ci sono governi pseudo-democratici che possiamo tranquillamente definire criminali, dove l’oppositore che utilizza la libertà che le leggi gli garantiscono viene ammazzato; spacciando l’uccisione per un caso di criminalità comune o roba del genere. Ci sono governi pseudo-democratici che non possiamo definire criminali, perché nessun oppositore viene assassinato, né arrestato, né esiliato, che tuttavia impongono al paese che ha la sventura di essere sotto il loro controllo un affievolimento dell’effettivo godimento dei diritti, una loro progressiva limitazione. Paesi nei quali il potere cerca quotidianamente di delegittimare il ruolo di ogni organismo di controllo, di denigrare e calunniare chiunque gli si opponga; paesi dove il potere utilizza la propria immanenza sui mezzi di informazione per snaturare la democrazia e asservirla ai propri fini, per censurare ed eliminare giornalisti e trasmissioni sgradite; paesi dove il potere sfrutta l’investitura popolare pur ricevuta in virtù delle regole concordate, per stravolgere quelle regole stesse e garantirsi la perpetuazione del mandato ad onta di esse. A questo punto sarebbe bello poter dire: sì, certi governi nazionali, magari soprattutto un certo governo nazionale, il nostro, si comportano in questa maniera, ma le forze che lo contrastano… No, non sempre e non ovunque. Esistono realtà locali nelle quali governa chi a livello nazionale è all’opposizione, e dove pure, a volte, si ripropongono le stesse, tristi logiche che sopra abbiamo delineato: disprezzo per le regole, abuso delle pubbliche risorse, informazione economicamente condizionata, intolleranza verso chi pretende di operare e parlare non in costante ossequio al potere, ostacoli sul cammino anche professionale di chi, esercitando il culto del “bene comune”, risulta eretico rispetto a quel compiaciuto esercizio del bene privato che è ormai divenuto la religione del nostro tempo. Non è necessario che il dissenso venga punito con la morte o la galera, perché si possa parlare di tirannide. Esistono vari gradi e intensità ai quali il vulnus alla libertà può essere portato; quelli più bassi e deboli non vanno trascurati, perché la storia ha insegnato che, purtroppo, è da questi che inizia la funesta discesa verso l’abisso. Sappiamo bene tutti, o dovremmo saperlo, che la libertà, la democrazia non sono conquiste irreversibili. In ogni società esisteranno sempre poteri, nazionali o locali, pubblici o privati, a volte tra loro connessi, che troveranno sgradevoli la critica, il dissenso, la verità. Contro tali poteri queste conquiste vanno quotidianamente difese. Per difendere la libertà esiste un solo strumento, il suo esercizio assoluto e costante. Per questo, quando più vediamo minacciati i nostri spazi di libertà, autonomia, indipendenza di giudizio, possibilità di espressione, tanto più è nostro dovere rafforzare il nostro impe- gno per praticarli, alzando la voce se occorre, correndo rischi, se è il caso; rifiutando le intimidazioni, le tentazioni del quieto vivere. L’arroganza del potere ha infatti questa truce caratteristica, più ti rassegni a sopportarla, a industriarti di conviverci, più essa diviene esigente e invasiva. Allora è indispensabile resistere. E contrattaccare.

Nota editoriale : Il Nobel a Mario Vargas Llosa
Quest’anno l’Accademia Reale svedese ha conferito il premio Nobel per la letteratura a Mario Vargas Llosa. Il premio Nobel, in tutte le sue declinazioni, è probabilmente una delle ultime cose serie che esistano al mondo. Il Nobel per la letteratura a volte viene conferito ad autori quasi sconosciuti al grande pubblico, ma sempre a giusta ragione: l’autore sconosciuto, grazie al premio, diviene famoso, troviamo i suoi testi in libreria e scopriamo quanto egli abbia meritato il riconoscimento; è il caso di Herta Müller, poetessa romena di lingua tedesca, che ottenne il Nobel l’anno scorso. Altre volte, il premio va ad un autore già consacrato, a buon diritto, dalla fama. È il caso di Vargas Llosa. L’Accademia ha legittimato la consolidata esperienza letteraria, umana e ideale di un grande maestro e chi già amava i suoi libri, assegnando a essi un posto speciale nella propria biblioteca, è come se fosse stato, un po’, premiato anche lui. Ora dovremmo parlare di Mario Vargas Llosa, inutile; preferiamo dare la parola a lui, riportando un brano del suo bellissimo saggio, “È pensabile il mondo moderno senza il romanzo?”, pubblicato in Italia da Einaudi nell’opera Il Romanzo - volume primo, La cultura del romanzo. “Noi lettori di Cervantes o di Shakespeare, di Dante o di Tolstoj, ci sentiamo membri della stessa specie perché, nelle opere che hanno creato, abbiamo imparato quello che condividiamo in quanto esseri umani, ciò che sussiste in tutti noi al di là dell’ampio ventaglio di differenze che ci separano. E nulla difende l’essere vivente contro la stupidità dei pregiudizi, del razzismo, della xenofobia, delle ottusità localistiche, del settarismo religioso o politico, o dei nazionalismi discriminatori, meglio dell’ininterrotta costante che appare sempre nella grande letteratura; l’uguaglianza essenziale di uomini e donne in tutte le latitudinie l’ingiustizia rappresentata dallo stabilire fra loro forme di discriminazione, dipendenza o sfruttamento. Niente, meglio dei buoni romanzi, insegna a vedere nelle differenze etniche e culturali la ricchezza del patrimonio umano e ad apprezzarle come una manifestazione della sua molteplice creatività. Leggere buona letteratura è divertirsi, certo; ma, anche, imparare, nel modo diretto e intenso che è quello dell’esperienza vissuta attraverso le opere di finzione, cosa e come siano, nella nostra interezza umana, con le nostre azioni, i nostri sogni e i nostri fantasmi, da soli e nell’intelaiatura delle relazioni che ci legano agli altri, nella nostra presenza pubblica e nel segreto della nostra coscienza, quella complessissima somma di verità contraddittorie – come le chiamava Isaiah Berlin – di cui è fatta la condizione umana.” Grazie, Maestro, e congratulazioni.
[Nota editoriale aggiunta: Gen 11, 2011 da Admin]

Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1494
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Il Chiasso Largo - Numero 9   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
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Descrizione : Alda Alda Merini non scriverà più versi. Probabilmente ci saranno editori che pubblicheranno postume sue poesie; il malvezzo di raschiare il fondo dei cassetti dei grandi autori defunti non morirà mai. Ma quel limpido fiume carsico che sotto la superficie di una vita stenta e sventurata, a più riprese è emerso per offrire una delle più nitide e alte testimonianze liriche del novecento e di questo breve scorcio di un nuovo secolo, si è raccolto per sempre nel suo letto sotterraneo. Quando muore un poeta, non cessa semplicemente di vivere una persona; si spegne una luce che illuminava di verità uno spazio del nostro esistere; si chiude una finestra dalla quale era possibile guardare con occhi diversi ciò che a tutti è dato guardare ma a pochi vedere. Certo i grandi poeti sono immortali. Ma la loro immortalità può essere peggiore di una dignitosa e irrevocabile estinzione. Spesso li imbalsamiamo in stereotipi arbitrari, scaviamo loro una nicchia e li incassiamo nel muro, li congeliamo in aride antologie… Mentre il poeta è un decifratore e ricodificatore del reale, scompone la vita in segmenti reinterpretati dalla sua sensibilità e personale visione del mondo e ce la ripropone sotto forma di allusioni, sogni, metafore, analisi; concedendoci conoscenze e angoli di visione che prima non possedevamo. Quando un poeta muore, seppelliamolo con grazia e rassegnazione. Ma l’omaggio vero che possiamo rendergli sta nel continuare a tenere in vita la sua poesia, proseguendo nella ricerca che egli ci ha indicato. Detta così sembra cosa ovvia e facile. Il fatto è che non accade mai. Sembrerebbe che la poesia sia inutile. Forse è proprio così. Tutti onorano e celebrano Dante, Leopardi, Montale, ma se ci guardiamo intorno, se ci specchiamo nella società amorale, volgare, violenta, qualunquista che ci circonda, troviamo ignorata, nei fatti, la loro esperienza. E non è questione di istruzione o meno: anche chi ha studiato e può definirsi colto emana a piene mani amoralità, volgarità, violenza… Qualcuno, a questo punto, mi darà del moralista: ormai non esistono più le persone morali. Non appena qualcuno si permette di fare un minimo richiamo a qualche valore etico viene bollato come “moralista”. Io non credo di esserlo; vorrei solo un briciolo di coerenza. Vorrei che questa società, nel suo complesso, almeno provasse a vivere un minimo in aderenza con quei principi e valori e fini (civili, religiosi, sociali) ai quali, a parole, dichiara di ispirarsi. Tutto qui. Allora, Alda Merini: ha cantato la propria emarginazione, il proprio essere altro e al di fuori dalla vita di tutti, ha esplorato la disperazione degli ultimi e il senso profondo dell’essere a questo mondo di ognuno. Che il suo messaggio resti, crei, incida, mentre in questo paese aumentano gli emarginati, si perseguitano i diversi, per razza o per natura, si sacrificano gli ultimi di ogni condizione. Almeno noi pochi che ci crediamo, comandiamoci le sue parole: “…la verità è sempre quella/ la cattiveria degli uomini/ che ti abbassa/ e ti costruisce un santuario di odio/ dietro la porta socchiusa…”
Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1671
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Il Chiasso Largo - Numero 8   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
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Descrizione : Fenomenologia della morte di Mike Bongiorno Quando questo numero della nostra rivista andrà in distribuzione si sarà, da poco, spento l’eco della morte di Mike Bongiorno. Abbiamo deciso di scimmiottare il titolo del breve saggio, critico e dissacrante, che un altro Eco, Umberto, gli dedicò negli anni ‘60 (appunto “Fenomenologia di Mike Bongiorno”) per muovere qualche riflessione sul fenomeno di massa che è stato rappresentato dallo spontaneo “lutto nazionale” che ha accompagnato la morte di questo popolarissimo uomo di televisione. Se ne è parlato, quasi commossi, in ogni bar, ufficio o parrucchiere; ne erano pieni giornali, radio e tv; migliaia di persone si sono recate a rendere onore alla sua salma; decine di migliaia si sono recate ai funerali, di Stato, che gli sono stati celebrati. Anche chi non lo amava ha scoperto di non amarlo un po’ meno di quanto pensasse e, comunque, ci ha “pensato”. Mike è uscito per sempre dalle cronache, è entrato nella Storia; ma in realtà ne era già parte. Tutto questo a noi italiani, specie a quelli sulla cinquantina e oltre, può sembrare normale, perché eravamo assuefatti a convivere con questo nostro “domestico” mito; pare abbia suscitato qualche stupore all’estero, e la cosa si spiega: siamo abituati ad assistere a tali fenomeni di universale e partecipe cordoglio di fronte alla morte delle grandi rock star (vedi il caso recente di Michael Jakson), dei grandi attori, dei grandi campioni dello sport: in questo caso si trattava di un presentatore specializzato in telequiz, la cosa non ha precedenti. Un presentatore di telequiz non trascina, non infiamma, non scatena. Bongiorno meno che mai, sempre tranquillo, tendenzialmente imbranato, quasi sgrammaticato e gaffeur. Eppure… Nei giorni scorsi sono stati versati fiumi d’inchiostro sul ruolo “storico” di Mike. Qualcuno ha detto che egli avrebbe unificato l’Italia per mezzo della televisione. In parte è vero, ma non del tutto. Assolsero a tale ruolo più o non meno di lui altri benemeriti del tubo catodico: il maestro Manzi, Mario Riva, Niccolò Carosio… È stato scritto che egli abbia, di fatto, “inventato” la televisione italiana. Anche qui crediamo che il merito vada equamente distribuito tra più soggetti, non dimenticando, ad esempio, i grandi sceneggiati popolari degli anni ‘50 e ‘60 di Bolchi, Majano e altri ancora. Forse la specificità di Bongiorno risiede altrove: la sua lunghissima carriera, questa sì senza uguali, gli ha permesso di testimoniare e, in qualche modo, documentare e forse rappresentare cinquant’anni di storia della società italiana così come è possibile leggerla attraverso la televisione; punto di osservazione formidabile e, allo stesso tempo, motore non secondario delle trasformazioni che in quella società sono intervenute. Il passaggio dall’Italia agricola del dopo guerra a quella industriale del boom; l’Italia consumista degli anni sessanta che esauriva la spinta innovativa del dopoguerra ed entrava nella “cultura di massa”; poi l’affermazione della tv commerciale sul finire degli anni ‘70, preludio alla dittatura dell’auditel che ne ha svilito il livello culturale; fino alla tv globalizzata dei format che impera attualmente. Di tutti questi passaggi Bongiorno è stato il “decoder” vivente, traduttore, testimonial, divulgatore, sdoganatore, comunque simbolo. Lui era quello che c’era stato, c’era e ci sarebbe stato: sempre, qui il suo essenziale merito, con ottima professionalità e quella sobrietà oggi divenuta merce tanto rara. Per questo la sua assenza improvvisa - per quanto evento razionalmente contemplabile data la sua età - ci coglie impreparati, interdetti, apre obiettivamente un vuoto. Questo è preoccupante: in una società culturalmente evoluta quale dovrebbe essere la nostra, in un’industria televisiva ricca, anche se sempre meno pluralista com’è quella italiana, la scomparsa di un presentatore ottantacinquenne dovrebbe essere, al di là del fatto umano, un accadimento indolore. Non è così. L’offerta, culturale e non, è talmente mortificante che ci toccherà rimpiangere questo mite e onesto artigiano del video. Con buona pace del professor Eco, ben altre fenomenologie, grevi e sinistramente banali, imperano oggi. E c’è poco da stare in “allegria”. Ahi, ahi, ahi, siora…
Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1336
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Il Chiasso Largo - Numero 7   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo


Autore : Pascal Editrice

Prezzo : 5,00
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Descrizione : A proposito di Baricco Baricco non è mai stato tra i miei autori preferiti; gli riconosco indubbia capacità affabulatoria e padronanza del mezzo tecnico della scrittura, tuttavia i suoi romanzi mi paiono eccessivamente costruiti, calibrati, troppo tecnici, appunto. Pure la sua “sparata” contro i finanziamenti pubblici all’arte, in particolare al teatro, alla lirica, al cinema, pubblicata il 25 febbraio scorso da “La Repubblica”, mi è parsa un’intelligente provocazione capace di smuovere positivamente le acque morte del delicato e ambiguo rapporto tra pubblici poteri e cultura. Riducendo i concetti espressi dallo scrittore torinese all’osso, egli ha sostanzialmente detto: perché gli spettacoli teatrali, cinematografici devono essere sovvenzionati dallo Stato o dagli enti locali? Dovrebbe essere solo il consenso del pubblico, dunque il successo, a stabilire se un dramma o un film hanno diritto di esistere. Invece di dirottare milioni su spettacoli che nessuno va a vedere, impieghiamo quelle risorse per potenziare la scuola e per migliorare l’offerta culturale della televisione pubblica. Ovvero: invece di spendere soldi per sovvenzionare opere di valore ma troppo “difficili” per essere apprezzate dal grande pubblico, investiamo sull’istruzione in modo da poter avere, domani, un pubblico in grado di apprezzare le opere “difficili”. Come provocazione va bene; ma solo come tale. Perché se andiamo ad approfondire il problema, constatiamo subito che la situazione è assai meno semplice rispetto a come Baricco la pone. In pratica lui suggerisce che la vita o la non vita di un prodotto culturale sia affidata esclusivamente al mercato. E tutto andrebbe bene se in campo culturale, oggi, in Italia, esistesse un libero mercato; ma non è così. C’è chi, se produce un film o allestisce uno spettacolo teatrale, può permettersi di far circuitare i suoi registi, gli attori in una miriade di passerelle, trampolini, siparietti e tête à tête televisivi, pubblici, privati, internazionali, nazionali e locali. E chi no. Lo stesso dicasi per i libri che vengono pubblicati, i premi letterari che vengono organizzati, i dischi, i concerti. E non parlo certo di artisti o manifestazioni di chiara fama che è logico godano della visibilità che si sono conquistata nel tempo; ma ormai invasivamente anche artisti semisconosciuti o manifestazioni assolutamente marginali conquistano le prime, o seconde, serate e le prime, o terze, pagine grazie alla fitta rete di connessioni industrialpoliticfamiliarmunicipilasticclericolaicali che, a un certo momento, decidono che quel determinato film è un successo, che quell’attrice ha un talento straordinario, che quel tale scrittore è un maestro, che quel tal’altro premio letterario (del quale fino a un paio d’anni prima nessuno parlava) è la consacrazione del genio (tranne poi veder arrestato il suo presidente). E non ha alcun senso suggerire, come fa Baricco, che a sovvenzionare la cultura, in luogo dei pubblici poteri, siano i privati. Chi impedisce oggi ai privati di farlo? E come lo fanno? Naturalmente e legittimamente in una logica di profitto e dunque coniugandosi con il “mercato” sopra descritto. Ma come mai i giovani scrittori che escono dalla famosa scuola di scrittura “Holden”, diretta da Baricco stesso, trovano così facile accoglienza nella grande editoria, mentre i giovani che non possono permettersi le altrettanto famose rette di quella scuola restano ignorati? Non sarà forse perché quella scuola, grande produttrice di immagine ed eventi, è parte integrante del sullodato “mercato”? Ma andiamo… Il problema, se mai, è altro: quando lo Stato, o chi per lui, sovvenziona la cultura, quali criteri di valutazione e selezione adotta? Trasparenti, puramente meritocratici, squisitamente culturali? In questi casi il grande Totò avrebbe risposto: “Ma mi faccia il piacere…!” Diciamo le cose come stanno: i finanziamenti, le sovvenzioni, le sponsorizzazioni alla cultura, nel pubblico come nel privato, come in ogni altro settore si dibattono tra Manzoni e Cervantes: centinaia e centinaia di don Rodrigo e don Abbondio, senza che mai spunti un cardinal Federigo. Solo, ogni tanto, c’è un Don Chisciotte che se la prende coi mulini a vento.
Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1332
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Echi di nostalgia   Molto popolare

Categoria : Libri Pascal Editrice / Le notti


Autore : Mita Feri

Prezzo : 10,00
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Descrizione : Una storia d’amore. Due ragazzi, Riccardo e Diana, si incontrano, scoprono di possedere un comune senso della vita, decidono di costruire insieme il loro futuro. La loro vicenda non sarà priva di ostacoli, la vita è complicata, a volte crudele: incomprensioni, intromissioni, separazioni sottoporranno il loro sentimento a dure prove, dalle quali il loro amore uscirà sempre rafforzato, invincibile, anche di fronte alla sfida finale, la più terribile. Con una scrittura semplice ma intensa, Mita Feri ci coinvolge in un racconto affascinante, struggente, indimenticabile.

ISBN:978-88-7626-085-4

Pagine 231

Dimensioni:14,5x21


Questo libro è stato aggiunto : Lug 06, 2010
Punti: 2381
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