Categoria: Libri Pascal Editrice
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Il Chiasso Largo - Numero 8

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : 5,00
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Descrizione : Fenomenologia della morte di Mike Bongiorno
Quando questo numero della nostra rivista andrà in distribuzione si sarà, da poco, spento l’eco della morte di Mike Bongiorno. Abbiamo deciso di scimmiottare il titolo del breve saggio, critico e dissacrante, che un altro Eco, Umberto, gli dedicò negli anni ‘60 (appunto “Fenomenologia di Mike Bongiorno”) per muovere qualche riflessione sul fenomeno di massa che è stato rappresentato dallo spontaneo “lutto nazionale” che ha accompagnato la morte di questo popolarissimo uomo di televisione.
Se ne è parlato, quasi commossi, in ogni bar, ufficio o parrucchiere; ne erano pieni giornali, radio e tv; migliaia di persone si sono recate a rendere onore alla sua salma; decine di migliaia si sono recate ai funerali, di Stato, che gli sono stati celebrati. Anche chi non lo amava ha scoperto di non amarlo un po’ meno di quanto pensasse e, comunque, ci ha “pensato”. Mike è uscito per sempre dalle cronache, è entrato nella Storia; ma in realtà ne era già parte.
Tutto questo a noi italiani, specie a quelli sulla cinquantina e oltre, può sembrare normale, perché eravamo assuefatti a convivere con questo nostro “domestico” mito; pare abbia suscitato qualche stupore all’estero, e la cosa si spiega: siamo abituati ad assistere a tali fenomeni di universale e partecipe cordoglio di fronte alla morte delle grandi rock star (vedi il caso recente di Michael Jakson), dei grandi attori, dei grandi campioni dello sport: in questo caso si trattava di un presentatore specializzato in telequiz, la cosa non ha precedenti. Un presentatore di telequiz non trascina, non infiamma, non scatena. Bongiorno meno che mai, sempre tranquillo, tendenzialmente imbranato, quasi sgrammaticato e gaffeur. Eppure…
Nei giorni scorsi sono stati versati fiumi d’inchiostro sul ruolo “storico” di Mike. Qualcuno ha detto che egli avrebbe unificato l’Italia per mezzo della televisione. In parte è vero, ma non del tutto. Assolsero a tale ruolo più o non meno di lui altri benemeriti del tubo catodico: il maestro Manzi, Mario Riva, Niccolò Carosio… È stato scritto che egli abbia, di fatto, “inventato” la televisione italiana. Anche qui crediamo che il merito vada equamente distribuito tra più soggetti, non dimenticando, ad esempio, i grandi sceneggiati popolari degli anni ‘50 e ‘60 di Bolchi, Majano e altri ancora.
Forse la specificità di Bongiorno risiede altrove: la sua lunghissima carriera, questa sì senza uguali, gli ha permesso di testimoniare e, in qualche modo, documentare e forse rappresentare cinquant’anni di storia della società italiana così come è possibile leggerla attraverso la televisione; punto di osservazione formidabile e, allo stesso tempo, motore non secondario delle trasformazioni che in quella società sono intervenute.
Il passaggio dall’Italia agricola del dopo guerra a quella industriale del boom; l’Italia consumista degli anni sessanta che esauriva la spinta innovativa del dopoguerra ed entrava nella “cultura di massa”; poi l’affermazione della tv commerciale sul finire degli anni ‘70, preludio alla dittatura dell’auditel che ne ha svilito il livello culturale; fino alla tv globalizzata dei format che impera attualmente.
Di tutti questi passaggi Bongiorno è stato il “decoder” vivente, traduttore, testimonial, divulgatore, sdoganatore, comunque simbolo. Lui era quello che c’era stato, c’era e ci sarebbe stato: sempre, qui il suo essenziale merito, con ottima professionalità e quella sobrietà oggi divenuta merce tanto rara. Per questo la sua assenza improvvisa - per quanto evento razionalmente contemplabile data la sua età - ci coglie impreparati, interdetti, apre obiettivamente un vuoto. Questo è preoccupante: in una società culturalmente evoluta quale dovrebbe essere la nostra, in un’industria televisiva ricca, anche se sempre meno pluralista com’è quella italiana, la scomparsa di un presentatore ottantacinquenne dovrebbe essere, al di là del fatto umano, un accadimento indolore. Non è così. L’offerta, culturale e non, è talmente mortificante che ci toccherà rimpiangere questo mite e onesto artigiano del video.
Con buona pace del professor Eco, ben altre fenomenologie, grevi e sinistramente banali, imperano oggi.
E c’è poco da stare in “allegria”. Ahi, ahi, ahi, siora…
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Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1336
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Il Chiasso Largo - Numero 7

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : 5,00
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Descrizione : A proposito di Baricco
Baricco non è mai stato tra i miei autori preferiti; gli riconosco indubbia capacità affabulatoria e padronanza del mezzo tecnico della scrittura, tuttavia i suoi romanzi mi paiono eccessivamente costruiti, calibrati, troppo tecnici, appunto. Pure la sua “sparata” contro i finanziamenti pubblici all’arte, in particolare al teatro, alla lirica, al cinema, pubblicata il 25 febbraio scorso da “La Repubblica”, mi è parsa un’intelligente provocazione capace di smuovere positivamente le acque morte del delicato e ambiguo rapporto tra pubblici poteri e cultura. Riducendo i concetti espressi dallo scrittore torinese all’osso, egli ha sostanzialmente detto: perché gli spettacoli teatrali, cinematografici devono essere sovvenzionati dallo Stato o dagli enti locali? Dovrebbe essere solo il consenso del pubblico, dunque il successo, a stabilire se un dramma o un film hanno diritto di esistere. Invece di dirottare milioni su spettacoli che nessuno va a vedere, impieghiamo quelle risorse per potenziare la scuola e per migliorare l’offerta culturale della televisione pubblica. Ovvero: invece di spendere soldi per sovvenzionare opere di valore ma troppo “difficili” per essere apprezzate dal grande pubblico, investiamo sull’istruzione in modo da poter avere, domani, un pubblico in grado di apprezzare le opere “difficili”.
Come provocazione va bene; ma solo come tale. Perché se andiamo ad approfondire il problema, constatiamo subito che la situazione è assai meno semplice rispetto a come Baricco la pone. In pratica lui suggerisce che la vita o la non vita di un prodotto culturale sia affidata esclusivamente al mercato. E tutto andrebbe bene se in campo culturale, oggi, in Italia, esistesse un libero mercato; ma non è così. C’è chi, se produce un film o allestisce uno spettacolo teatrale, può permettersi di far circuitare i suoi registi, gli attori in una miriade di passerelle, trampolini, siparietti e tête à tête televisivi, pubblici, privati, internazionali, nazionali e locali. E chi no. Lo stesso dicasi per i libri che vengono pubblicati, i premi letterari che vengono organizzati, i dischi, i concerti. E non parlo certo di artisti o manifestazioni di chiara fama che è logico godano della visibilità che si sono conquistata nel tempo; ma ormai invasivamente anche artisti semisconosciuti o manifestazioni assolutamente marginali conquistano le prime, o seconde, serate e le prime, o terze, pagine grazie alla fitta rete di connessioni industrialpoliticfamiliarmunicipilasticclericolaicali che, a un certo momento, decidono che quel determinato film è un successo, che quell’attrice ha un talento straordinario, che quel tale scrittore è un maestro, che quel tal’altro premio letterario (del quale fino a un paio d’anni prima nessuno parlava) è la consacrazione del genio (tranne poi veder arrestato il suo presidente).
E non ha alcun senso suggerire, come fa Baricco, che a sovvenzionare la cultura, in luogo dei pubblici poteri, siano i privati. Chi impedisce oggi ai privati di farlo? E come lo fanno? Naturalmente e legittimamente in una logica di profitto e dunque coniugandosi con il “mercato” sopra descritto.
Ma come mai i giovani scrittori che escono dalla famosa scuola di scrittura “Holden”, diretta da Baricco stesso, trovano così facile accoglienza nella grande editoria, mentre i giovani che non possono permettersi le altrettanto famose rette di quella scuola restano ignorati? Non sarà forse perché quella scuola, grande produttrice di immagine ed eventi, è parte integrante del sullodato “mercato”? Ma andiamo…
Il problema, se mai, è altro: quando lo Stato, o chi per lui, sovvenziona la cultura, quali criteri di valutazione e selezione adotta?
Trasparenti, puramente meritocratici, squisitamente culturali? In questi casi il grande Totò avrebbe risposto: “Ma mi faccia il piacere…!”
Diciamo le cose come stanno: i finanziamenti, le sovvenzioni, le sponsorizzazioni alla cultura, nel pubblico come nel privato, come in ogni altro settore si dibattono tra Manzoni e Cervantes: centinaia e centinaia di don Rodrigo e don Abbondio, senza che mai spunti un cardinal Federigo. Solo, ogni tanto, c’è un Don Chisciotte che se la prende coi mulini a vento.
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Questo libro è stato aggiunto : Lug 22, 2010
Punti: 1332
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Il Chiasso Largo - Numero 6

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : € 5,00
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Descrizione : Zitti, zitti – forse un po’ troppo – siamo arrivati al numero sei, che poi sarebbe il sette se consideriamo quel numero zero pubblicato a febbraio 2006. Siamo stati impuntuali, lenti…, non siamo riusciti a rispettare la cadenza bimestrale che ci eravamo assegnati. Troppo intensa, considerando che abbiamo anche una casa editrice da mandare avanti, la quale – per fortuna – richiede sempre più tempo ed energie.
Sicché abbiamo impiegato due anni per compiere il percorso che avremmo dovuto fare in uno. Pazienza. Specie se consideriamo la caducità tipica delle riviste letterarie, che spesso non vanno oltre i primi tre numeri.
L’importante è prendere atto della realtà e adeguarsi: dal 2009 il “Chiasso” diventerà trimestrale, con l’impegno – lo prometto – di rispettare scrupolosamente questa più “comoda” scadenza di uscita.
Dopo tale doverosa autocritica, permettetemi però di indugiare qualche attimo (non l’odioso, repellente attimino), sulle note liete. La famiglia Chiasso Largo cresce, si allarga la fascia dei nostri collaboratori e lettori, sia a Siena che nel resto d’Italia, dando via, via concretezza al programma col quale abbiamo cominciato questo percorso: creare un punto di incontro e di confronto tra esperienze creative diverse, senesi e non, emergenti e consolidate, italiane e straniere, poetiche, narrative e critiche, classiche e sperimentali, avendo come unico comune denominatore e discrimine la qualità.
Dal numero zero a oggi sono stati 81 gli autori ai quali questa testata ha offerto voce e visibilità. Abbiamo pubblicato autori di Siena, Firenze, Roma, Lecce, Napoli, Bologna, Varese, Nocera Inferiore, Pordenone, Salerno, Pistoia, Modena, Genova, Novara, Sondrio, Cagliari, Linz (Austria), Vicenza, Palermo, Dortmund (Germania), Livorno, San Benedetto del Tronto, Voghera, Battipaglia, Ascoli Piceno, Locri, Taranto, Mantova, Asti, Lubiana (Slovenia), Cecina, Tivoli, San Paolo del Brasile, Milano; adempiendo alla missione che ci eravamo proposti: aprire un ideale canale di collegamento tra la creatività letteraria di Siena e quella che dal resto del mondo guarda a questa città.
A tutti questi collaboratori va il nostro affettuoso ringraziamento e un mezzo impegno – mezzo, perché tra il dire e il fare… - è nostra intenzione/desiderio organizzare nel prossimo inverno un’occasione di incontro per tutti loro, come per i lettori; una specie di festa di “Il Chiasso Largo”, che possa anche essere un momento di riflessione comune e di progetto per i destini futuri della rivista. Speriamo di riuscire ad avere tempi, spazi e mezzi per concretizzare questo proposito. A dire il vero questo dipende anche un po’ da voi che ci leggete. Consentitemi un’annotazioncella di ordine pratico, è la prima volta che lo faccio. Riceviamo tanti testi, tanti complimenti, attestati di stima, ammirazione; l’unica cosa che scarseggia sono gli abbonamenti. . . A questo proposito mi limito a trascrivere ciò che lo scorso maggio mi ha scritto una poetessa che torno a ringraziare: “…Voglio abbonarmi al Chiasso perché credo sia anche mio interesse permettere la sopravvivenza di una rivista che mi offre la possibilità di esprimermi, di pubblicare, di avere voce. So che pubblicare una rivista è costoso: chi è “aiutato” dal “Chiasso” secondo me ha il dovere di sostenerlo. Poi per 25 euro l’anno…quanti ne spendiamo in telefonini o gratta e vinci? E se il “Chiasso” un giorno dovesse tacere? Mi sentirei davvero molto sola…”.
Ecco, quest’amica ha capito tutto… altri non capiscono, o fanno finta… Comunque il nostro IBAN POSTALE è: IT76Q0760114200000091323451. E speriamo.
Intanto, visto che questo numero esce – o dovrebbe uscire – a cavallo delle prossime feste,
un affettuoso augurio di Buon Natale e felice anno nuovo da me personalmente e da tutta la redazione.
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Questo libro è stato aggiunto : Feb 25, 2009
Punti: 1475
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Il Chiasso Largo - Numero 5

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : € 5,00
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Descrizione : In questo numero:
L’amico che insegnava la memoria
Lo scorso 21 marzo, quasi all’improvviso, ci ha lasciato Aurelio Ciacci. Amico discreto, ma assiduo e prezioso della nostra casa editrice, di questa rivista. Qui non vogliamo parlare del valoroso partigiano, dirigente di partito, parlamentare. Lo fece benissimo da sé nel suo libro, “Viale Curtatone”, che un po’ estorcemmo alla sua ritrosia, alla sua sobrietà: “Non mi va di scrivere delle memorie. C’è sempre grande ipocrisia nei libri autobiografici”, diceva. Così ci mettemmo d’accordo per un libro intervista, una sorta di dialogo su cinquant’anni di vita politica; al termine del quale, comunque, volle precisare: “Tutto quello che ho detto è vero, ma non tutto il vero ho potuto dire”. Non era mai accomodante. Aveva il vizio della verità, e della memoria. E, giunto ormai in vista degli ottanta anni, - al tempo in cui scrivevamo - non era disposto a separare le due cose. Non era un uomo semplice, Aurelio. I suoi ultimi anni sono stati sereni, ma dominati da una riflessione costante e indagatrice sul senso delle esperienze accumulate. Apparteneva a quella generazione di comunisti che della fede politica avevano fatto una religione; per i quali non era mai esistita distinzione tra vita privata e impegno politico; serenamente convinti del ruolo benefico esercitato dal Pci nella società italiana. Comunisti militanti che, pure, dovettero assistere al crollo prima del mito e poi della stessa entità dell'URSS; alla trasformazione del proprio partito-casa; alle sue divisioni. Ma a differenza di tanti altri militanti - anche molto più giovani - Aurelio non visse passivamente i cambiamenti: non fu mai uno di quelli che “si adeguano”. Ciacci il cambiamento lo visse innanzitutto dentro di sé, con buon anticipo sui tempi storici, e nel partito ne fu interprete e ispiratore. Della sua lezione politica ci resta il gusto per il confronto, la curiosità di indagare, capire l’altro. Un istinto innato per l’analisi, la caparbietà con la quale costantemente tendeva alla sintesi unitaria, anche dopo aver colpito l’interlocutore con le pungenti frecce dell’ironia; o mentre subiva a sua volta l’ironia dell’avversario. L’ironia era la sua arma preferita, amava usarla ed era sempre prontissimo ad accettarla; e questo è parte della lezione umana che ci ha lasciato. Insieme all’uso della modestia, l’esercizio della ragione, l’orgoglio della memoria. Oggi viviamo giorni difficili e confusi, in cui qualcuno vorrebbe riscrivere i libri di storia, altri dedicare vie a chi fiancheggiò l’Olocausto. Il tutto sull’altare di un’ambigua pulsione pacificatoria. E allora tornano alla mente parole semplici e chiare, come quelle scritte da Aurelio, tre anni fa: “Io credo nella necessità di una pacificazione… Ma pacificare non vuol dire dimenticare che, in quella guerra, ci furono aggressori e aggrediti, persecutori e perseguitati, sterminatori e sterminati. Ci può essere pacificazione, ma senza dimenticare che ci furono ragioni e torti”. Ancora grazie, Aurelio.
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Questo libro è stato aggiunto : Ago 06, 2008
Punti: 1613
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Il Chiasso Largo - Numero 4

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : € 5,00
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Descrizione : Noi, ragazzi degli anni ‘50 Quelli nati, come il sottoscritto, nei primi anni cinquanta del secolo passato hanno avuto un singolare destino. Sono entrati nell’età della ragione mentre l’Italia viveva un momento magico, il boom economico. E anche nel mondo sembrava che le cose non andassero poi tanto male: la seconda guerra mondiale era finita l’altro ieri, i buoni avevano sconfitto i cattivi, il colonialismo declinava, c’era la guerra fredda ma cominciava la “distensione”. Il Vietnam ancora non sapevamo dove fosse. A scuola si assegnavano i temi sul “progresso”. L’umanità non aveva ancora preso coscienza dei prezzi che l’indiscriminato saccheggio delle risorse naturali avrebbe comportato. Il buco nell’ozono ancora non c’era, o almeno non ce ne eravamo accorti. Da noi la Fiat 600, la televisione, i frigoriferi e le vendite a rate cominciavano a persuadere un popolo tradizionalmente povero di avere finalmente, e pacificamente, conquistato il “posto al sole”. Quando un bimbo entra nell’età della ragione e comincia a prendere coscienza della realtà che lo circonda, è fatalmente portato a credere che il mondo sia così, come lo vede in quel momento, e basta; che così, naturalmente, devono andare le cose. Quindi noi, bambini degli anni cinquanta, innocentemente credemmo che i presidenti degli Stati Uniti non potessero che essere tutti come John Kennedy, i papi come papa Giovanni; che fosse normale avere politici della levatura di Nenni, Moro, Saragat, La Malfa, Togliatti… Nessuno ci avvertì che invece stavamo vivendo un momento eccezionale, che come tutte le cose straordinarie sarebbe durato poco. Il fatto è che, forse, anche i nostri padri, che avevano attraversato le tragedie della guerra, si illudevano che fosse cominciata “l’età dell’oro” o, semplicemente, che la sfiga fosse finita. A noi parve del tutto normale che nel panorama letterario campeggiassero, tutti insieme, Gadda, Pasolini, Fenoglio, Moravia, Pratolini, Buzzati, Ginzburg, Testori, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Raboni, Caproni, Luzi; che si stampassero riviste come “Officina”, “Nuovi Argomenti”, “Belfagor”. Quando mettemmo da parte “Cuore” e “I Ragazzi della via Pal” e cominciammo a leggiucchiare, magari di nascosto, qualcosa più “da grandi”, quelli trovammo. Analogamente demmo per scontato che il cinema fosse popolato da signori come De Sica, Rossellini, Antonioni, Visconti, De Santis, Comencini, Risi, Vancini, Zurlini, Pontecorvo, Zeffirelli, Monicelli, Germi, Rosi, e ci parve ovvio che essi avessero a disposizione attori come Gassman, Tognazzi, Manfredi, Mastroianni, Anna Magnani, Totò, Peppino, Fabrizi… alcuni dei quali ci prendemmo persino il lusso di giudicare attori “di cassetta”. Naturalmente era anche cosa di tutti i giorni che in teatro operassero Strehler, Eduardo De Filippo, la compagnia dei “Giovani”, Squarzina, Scaparro… E nella musica? Sbocciava in quegli anni la “scuola di Genova”, la stagione dei grandi cantautori. Il che ci convinse che le canzoni non potessero che essere quelle di Paoli, De André, Guccini, Ciampi, Bindi, Tenco, Lauzi, Martino, Endrigo, che insomma fosse la cosa più semplice di questo mondo comporre “Il cielo in una stanza”, “La canzone di Marinella” o “Auschwitz”. Quando proprio si voleva volare basso e andare sul commerciale “da sartine”, ti ritrovavi in compagnia di gente come Modugno, Celentano, Di Capri…(!) Un periodo di straordinario vigore ideale, di intenso fermento culturale e artistico. Breve. Che presto, troppo presto, imparammo a rimpiangere. No, signori: non venite a raccontarmi la storia che quando si invecchia nasce fatalmente la nostalgia del passato, che è naturale che ognuno guardi all’epoca della propria gioventù come all’eden perduto… Non diciamo fregnacce. Sfido chiunque a trovare in periodi precedenti o successivi della storia d’Italia del ventesimo secolo (mettendoci dentro, in omaggio, anche questo quasi primo decennio del ventunesimo) una fase caratterizzata da una proposta culturale quantitativamente ricca e qualitativamente alta, da una spinta innovativa, da una genialità creativa come quella che abbiamo vissuto dalla fine della guerra fino al termine dei favolosi anni sessanta. E non ho parlato di pittura, di architettura, del design… Quelli furono anni formidabili, non la stagione dei Capanna e degli Scalzone. Anzi a me viene da pensare che una delle origini storiche del ’68 (che quest’anno compie mezzo secolo e tanti auguri) stia proprio nella delusione patita da una generazione che aveva ingenuamente creduto nei miti dei “due Giovanni”, degli “americani buoni”, del progresso tecnologico al servizio dell’umanità e non, invece, del profitto di una parte infinitesimale di essa che sfrutta la rimanente. Ma lasciamo perdere il ’68, illusioni e delusioni; rimane indubitabile che per noi, che ci affacciammo alla consapevolezza in quell’epoca così rigogliosa di talenti, suggestioni e idee, questo che viviamo è il tempo delle povertà: abbiamo voluto rinunciare alle ideologie, ma abbiamo perso anche gli ideali. Pure le semplici idee scarseggiano. L’impulso originale della nostra creatività, nella letteratura come nel cinema, tende a uniformarsi a modelli, schemi e canoni d’oltreoceano che, di regola, quando ci raggiungono sono già logori. I modelli che emergono dai media sono stereotipi conformi alle logiche e alle esigenze del consumo: nella televisione e sui giornali presto la spazio pubblicitario supererà da solo quello complessivamente dedicato a spettacolo, informazione, intrattenimento e sport… La presenza dell’intellettuale nelle televisioni è ormai tassativamente legata all’esibizione dell’ultimo libro, ultimo film, ultimo cd, prodotto dal medesimo. Circa sessant’anni fa, Pierpaolo Pasolini aveva previsto tutto questo. Non lo capimmo, non lo ascoltammo. È il destino dei grilli parlanti; dei rivelatori di verità scomode. Il Paese che ci sta intorno, con città sepolte dalla spazzatura, una criminalità organizzata divenuta industria, la violenza endemica, una classe politica inefficiente, spesso corrotta, è il risultato dell’indifferenza che abitualmente lascia cadere nel nulla ogni richiamo ai valori. I ragazzi degli anni ’50, che insieme a Kennedy sognarono la nuova frontiera, vivono con disagio, smarrimento tutto questo. Ma quei ragazzi, che da decenni non sono più tali, che cominciano ad avere i capelli grigi, che hanno vissuto un mondo diverso, hanno il dovere di ricordare, di trasmettere, di rappresentare. Quando io avevo sedici anni ascoltavo De Andrè e Guccini, non Rabbagliati, come aveva fatto mio padre a quell’età. Per i sedicenni di oggi, invece, De Andrè è un mito e vanno in massa ai concerti di Guccini. Quando io avevo sedici anni non leggevo Pitigrilli o Guido Da Verona, leggevo “Il giovane Holden” o “Lessico familiare”, che però vengono letti anche dai sedicenni di oggi. Ecco, si potrebbe cominciare da questo. Da quel poderoso patrimonio di valori condivisi che i creativi, trasgressivi, libertari primi anni sessanta riuscirono a costruire e che, dopo aver attraversato i decenni, sono vivi ancora oggi.
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Questo libro è stato aggiunto : Ago 06, 2008
Punti: 1675
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Il Chiasso Largo - Numero 3

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : € 5,00
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Descrizione : Da un quotidiano del 9 ottobre, apprendo che una recente indagine statistica ha rilevato che in Italia, negli ultimi anni, si è letto in molti meno, ma molto di più: è diminuito il numero dei lettori, ma è aumentato il numero dei libri venduti. Gli italiani che amano la lettura sono sempre meno, tuttavia questo “zoccolo duro” dedica sempre più tempo alla propria passione. Dunque tra i lettori non troverebbe applicazione un concetto ispirato a logiche egualitarie o solidaristiche, tipo: “Leggere meno, leggere tutti”. Vale invece il “Meno siamo, meglio leggiamo”. D’altro canto non è certo colpa di chi legge se la maggior parte dei propri concittadini non lo fa. Semmai potrebbe essere colpa di chi scrive, o di chi pubblica. Ma, alla fine, perché tormentarci se tanta gente non vuol saperne di prendere in mano un libro? Peggio per loro, mi viene da dire. Questo sarà probabilmente un atteggiamento poco responsabile o scarsamente civico, perché la diffusa ignoranza del nostro popolo (il nostro è uno dei paesi dove si legge meno, nel mondo progredito) è, a mio avviso, alla base di molti dei suoi problemi. Ma la cultura è una di quelle cose che non si possono prescrivere come le medicine, né emanare per decreto legge. Certo dovrebbe pensarci la scuola a stimolare l’interesse, la curiosità verso la lettura. Ma la nostra scuola, nelle condizioni in cui versa, è già tanto se riesce a procurare ai ragazzi un’istruzione, figuriamoci la cultura o la voglia di costruirsene una. Magari è giusto, quando se ne ha l’occasione, invitare la gente ad accostarsi al libro. Io, normalmente, lo faccio cercando di spiegare come la nostra vita quotidiana sia intessuta di letteratura. A esempio: viviamo bombardati da slogan pubblicitari che spesso traggono la loro ispirazione da luoghi letterari. Sfoglio una pubblicazione di automobilismo e trovo che c’è una piccola city car denominata “Cuore” (De Amicis). Qualche pagina dopo scopro che una lussuosa berlina viene reclamizzata con queste parole, “La quiete e la tempesta” (Leopardi). Gli spot che ci assalgono dalla televisione sono frequentemente ispirati da film che, a loro volta, sono tratti da opere letterarie… Cerco di far capire al mio restio interlocutore di turno che, se non sei tu a leggere i libri, sono i libri che leggono te; nel senso che coloro che li hanno letti hanno un vantaggio che gli consente di interpretarti e magari anche gestirti. Perché leggere molti libri è come vivere molte vite; significa moltiplicare in modo esponenziale la propria “esperienza”. Insomma vivere senza leggere è come utilizzare un complesso macchinario, senza aver letto il libretto delle istruzioni. Certo il macchinario potrà mal funzionare anche se si è studiato il libretto, ma se non lo si è fatto la cosa è pressoché inevitabile. Ci provo, ma non so con quali risultati. E allora consoliamoci con la parte buona della notizia: chi legge, legge più di prima. È un dato importante. Gli altri non sanno cosa si perdono.
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Questo libro è stato aggiunto : Nov 20, 2007
Punti: 1688
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Il Chiasso Largo - Numero 2

Categoria : Libri Pascal Editrice / Rivista - Il Chiasso Largo
Autore : Pascal Editrice
Prezzo : € 5,00
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Descrizione : Lo stato della poesia
Lo scorso 3 maggio abbiamo partecipato a Roma a un interessante seminario organizzato dall’Universitas Montaliana, presieduta dalla poetessa Maria Luisa Spaziani, che aveva per argomento la situazione delle riviste letterarie in Italia. Sede prestigiosa: la biblioteca della Camera dei Deputati. Relatori tre illustri critici e poeti: Claudio Damiani, Domenico Maffia, Elio Pecora.
Ciò che abbiamo ascoltato ha confermato qualcosa che sapevamo già di noi: cioè che siamo dei coraggiosi o forse dei temerari e incoscienti. Le riviste letterarie nel nostro paese vivono vita grama: nascono e muoiono dopo pochissimi numeri; non riescono a essere distribuite in libreria; hanno una circolazione faticosa e incerta... Il convegno ha però testimoniato anche quale fondamentale funzione svolgano quelle poche riviste che, pur tra tanti problemi, riescono a tirare avanti: offrire uno spazio di visibilità ad autori che diversamente non avrebbero altra possibilità per far ascoltare la propria voce, date le maglie sempre più strette degli accessi all’editoria italiana, almeno per gli autori esordienti o comunque non celebri. Questo discorso è particolarmente e drammaticamente vero per i poeti.
Si sa che la “poesia” non vende; quindi molti poeti, anche di chiara fama, con al proprio attivo pubblicazioni ben recensite dalla critica e, magari, qualche premio nel carniere, stentano a trovare un editore e, sovente, devono rifugiarsi nella piccola editoria di provincia. Figurarsi come vanno le cose per i poeti di fama meno “chiara”…
Quindi la rivista, come unico terreno di primo approccio alla pubblicazione e di verifica delle proprie potenzialità. E si tratta di uno strumento privo di alternative, perché - anche questo è emerso con chiarezza dal seminario - ricorrere a internet per intervenire su riviste on line, blog e forum, generalmente lascia l’autore deluso e inappagato: in queste riviste virtuali spesso regna la più assoluta confusione; su di esse vanno in scena polemiche furiose tra presunti poeti che prendono il sopravvento sui testi; intervenire in queste sedi si risolve comunque in un’esperienza effimera, che non lascia traccia.
Ben altre emozioni, possibilità, piaceri ci danno carta e inchiostro.
Da tutto questo, nuova voglia di andare avanti, di offrire spazio alla creatività, di farci conoscere. Pagine: 121 Dimensioni: 14x21
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Questo libro è stato aggiunto : Giu 28, 2007
Punti: 1736
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